Autore: a.manzo

Editoriale – numero 85 – 2022

Felici di vedervi, e non è una frase fatta . Dopo due anni di pandemia, tre mesi abbondanti di guerra in Europa: gli scenari geopolitici cambiano abbastanza rapidamente e generano mutamenti economici e sociali che è difficile comprendere, figuriamoci anticipare. Per le aziende sono momenti complessi: se non ci fosse una guerra che minaccia il cuore dell’Europa, non ci sarebbe quasi da lamentarsi. Alla fine gli ordini di macchine utensili nel primo trimestre del 2022 sono calati, ma soltanto in modo leggero, mentre la crescita delle esportazioni al di fuori della Comunità Europea ha fatto segnare una crescita incoraggiante. Sul primo trimestre migliore degli ultimi tre anni, però, pesa in modo determinante l’incertezza dovuta principalmente a tre fattori: la guerra e le conseguenti sanzioni economiche, che hanno tagliato fuori un mercato decisamente ampio; la recrudescenza della pandemia in Cina e in estremo oriente, che blocca gli scambi commerciali; l’aumento dei costi dell’energia e del trasporto, dei quali ancora non si è sentito completamente l’impatto, ma che indubbiamente avranno nel prossimo futuro effetti sensibili anche sul settore dell’acciaio e delle macchine utensili.

A proposito di acciaio, le prime avvisaglie di fibrillazione del settore si leggono nella richiesta delle aziende alla Comunità Europea di rivedere le misure protezionistiche in vigore dal 2018: si tratta di azioni drastiche che, in oltre tre anni di operatività, hanno messo in difficoltà le aziende; ora, unitamente alle sanzioni nei confronti della Russia e della Bielorussia e alla scomparsa dal mercato dell’Ucraina, hanno reso molto difficile la vita agli operatori che chiedono all’Europa di non dimenticarli tra l’incudine dei dazi e il martello delle sanzioni. Un nuovo approccio, afferma il Direttore generale di Cecimo, Filip Geerts, sarebbe di capitale importanza per garantire la competitività europea, già duramente provata dai costi dell’energia e dalle difficoltà di approvvigionamento di alcuni materiali conseguente alla pandemia da Covid-19.

Il clima economico generale tra i costruttori di macchine utensili CECIMO è positivo, raggiungendo il 23% del saldo percentuale positivo nel primo trimestre 2022. Considerando tutti i fattori che attualmente influenzano l’attività imprenditoriale, come la carenza di manodopera qualificata, la carenza di materie prime, i vincoli di consegna, l’incertezza causata dalla guerra russo-ucraina e l’aumento dei prezzi dell’energia, i produttori di macchine utensili si aspettano ancora che il clima economico generale rimanga positivo nel secondo trimestre del 2022 (+4%).

Dopo l’annullamento dell’edizione 2020, torna nell’inconsueta data di fine giugno la fiera più importante del settore. Tube si svolgerà a Düsseldorf dal 20 al 25 giugno con una buona partecipazione degli espositori e una flessione appena percettibile della superficie espositiva: dedicata ai temi della green economy, Tube sarà la prima vera occasione di incontrarsi di persona dopo anni passati davanti allo schermo del computer: per tutti, l’attesa è soltanto lievemente mascherata dall’ostentata affettazione di normalità. Mancheranno grandi aziende, tagliate fuori da un conflitto che aleggia sempre in ogni ambito delle nostre attività quotidiane, mancherà un po’ di abitudine, e forse sarà anche un po’ strano ritrovarsi dopo così tanto tempo, saremo arrugginiti nel muoverci in fiera, mancheranno anche molte persone, scomparse a causa del Covid-19.

Il migliore augurio, comunque, resta quello di incontrarci finalmente nelle corsie di una fiera, e che fiera. Sarà un piacere vedervi e, per una volta, non sarà una frase fatta.

Il materiale che guida l’industria automobilistica

I veicoli a idrogeno hanno già affrontato i primi tratti. E alcuni esperti sono sicuri che ne seguiranno molti altri. Per loro, i veicoli a celle a combustibile sono il futuro dell’industria automobilistica. Ma ancora le auto H₂ sono lontane dal conquistare le strade del mondo. È chiaro, tuttavia, che le auto a idrogeno hanno bisogno di cavi e tubi potenti. L’industria deve prepararsi ora a questo sviluppo per poter prendere velocità in tempo.

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Editoriale – numero 84 – 2022

Che dire? Ci voleva proprio. Dopo la pandemia, o forse è ancora meglio dire “durante una pandemia”, la guerra. Dal punto di vista strettamente industriale, il passaggio all’età contemporanea ha causato un’inversione del ruolo della guerra nello sviluppo: se, fino alla Seconda Guerra Mondiale, le guerre hanno avuto, come effetto collaterale, un decisivo progresso tecnologico, basti pensare allo sviluppo del motore a reazione o a razzo, dalla guerra di Corea in poi la guerra è stata solo e sempre una voragine in cui sono state gettate vite umane, esistenze intere e anche quantità incalcolabili di materie prime, risorse e potenzialità economiche. La guerra in Ucraina si inserisce perfettamente in questo filone di insensata distruzione: se, secondo un’antica definizione, la guerra è la versione a livello di stati nazionali dell’aggressione a scopo di rapina, in questo caso, qualunque sia il bottino finale, ci sono forti dubbi che il gioco valga la candela, viste le quantità di vite e risorse inesorabilmente gettate nel calderone del conflitto.

Secondo le stime del National Institute of Economic and Social Research la Guerra in Ucraina costerà al mondo un punto di PIL, circa 1000 miliardi di dollari. Solo all’Italia le sanzioni alla Russia costeranno 22 miliardi di euro per il calo delle esportazioni, soprattutto per quanto riguarda gli articoli di lusso, le macchine utensili e i prodotti teconologici senza contare le difficoltà dovute agli aumenti delle materie prime e dell’energia. Sono oltre 300 le aziende italiane che intrattengono rapporti commerciali con la Russia, 14esimo partner commerciale al mondo. Per quanto riguarda la Comunità Europea, il valore delle merci esportate è di 79 miliardi di euro, mentre le importazioni ammontano a 95,3 miliardi. Nonostante le sanzioni seguenti alla guerra nel Donbass e all’annessione della Crimea, nel 2014, che hanno causato una riduzione delle esportazioni russe di oltre 50 miliardi di euro annui tra il 2010 e il 2020, l’Unione Europea rimane sempre il primo partner commerciale della Russia.

Insomma, se per tutto il XIX e parte del XX secolo per una buona parte dell’industria la guerra poteva essere una risorsa di sviluppo, incremento del fatturato e della tecnologia, nel XXI secolo è diventata un pessimo investimento, tranne che per le aziende della difesa, e anche per loro fino a un certo punto. Troppo alti, infatti, sono i costi di una guerra perché si possa pensare che duri tanto a lungo da renderla un ottimo affare: sul breve termine, la pace è molto più redditizia. Ora che il peggio della pandemia sembrava essere passata, un conflitto ristretto dal punto di vista militare ma su scala globale per quanto riguarda le conseguenze economiche rischia di soffocare sul nascere la ripresa che, complice i provvedimenti di NextGenerationEU, stava assumendo caratteri decisamente marcati, con un PIL in crescita tra il 4 e il 7% nell’area Euro. Poco più di un mese di conflitto ha fatto precipitare le stime attorno al 2%, anche a seguito degli aumenti spropositati dei costi dell’energia. Stretta tra il calo dell’export e l’aumento dei costi, la manifattura si dibatte in cerca di soluzioni che ancora non si vedono all’orizzonte: se, da una parte, il costo del gas già a gennaio era aumentato per l’industria del 423% rispetto al 2018, dall’altra il 2021 aveva fatto segnare una cifra record, tanto a livello europeo quanto a quello italiano, con un recupero rapidissimo rispetto alla crisi nera del 2020.

E ora? Ora si tiene duro: i contratti siglati nel 2021, evasi nel primo e secondo trimestre 2022, non potranno per forza di cose tenere conto dell’aumento dei costi di produzione per le macchine utensili. E anche per il futuro l’adeguamento dei prezzi ai nuovi costi, sia della materia prima, l’acciaio, prodotto da aziende energivore come le acciaierie, sia dell’energia utilizzata per la produzione, non appare una strada praticabile, anche per le grande concorrenza sul mercato che fa leva proprio sul prezzo finale. Si tiene duro e si spera per il meglio: le corsie della Tube di Dusseldorf, ne siamo certi, saranno tutto un mormorare: chi troverà la soluzione a quest’equazione con troppe variabili si sarà assicurato un posto nel mercato del futuro.