Oltre la concezione del “numero fisso” di posti di lavoro

Written by:

Elsa Fornero (University of Turin and Collegio Carlo Alberto)
Ivan Lagrosa (Bocconi University & IGIER)

La complessa relazione tra sistema pensionistico e mercato del lavoro

Le riforme previdenziali incentrate sull’aumento dell’età di pensionamento sono spesso state accompagnate da forti critiche e preoccupazioni circa il loro possibile impatto sull’occupazione, in particolare dei giovani e delle donne. Sia la logica economica sia i dati mostrano, però, come questi timori non siano necessariamente fondati e come siano invece opportune politiche volte a dare sostenibilità al sistema! pensionistico non soltanto attraverso formule di maggiore equità entro e tra le generazioni, ma anche attraverso misure atte a rendere il mercato del lavoro più inclusivo e dinamico.

Demografia, crescita economica e innovazione: un contesto di relazioni complesse

Il progresso nelle condizioni di salute, l’aumento della speranza di vita e la forte caduta nei tassi di natalità hanno determinato una transizione demografica che sta portando a una parziale inversione della piramide per età della popolazione: pochi giovani alla base e un numero sempre maggiore di anziani al vertice [Figura 1].

Il fenomeno non riguarda ovviamente solo il nostro Paese: secondo stime dell’Eurostat, nel 2080 la quota di popolazione europea compresa tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali due terzi a poco più della metà, a vantaggio della quota di persone con più di 64 anni, che raggiungerà invece il 28,1 per cento1.

Se da una parte i cambiamenti demografici rimodellano la nostra società mettendo in primo piano i problemi che riguardano i rapporti tra le generazioni e i fenomeni migratori, dall’altra i bassi tassi di crescita economica aggravano il problema demografico, rendendo più difficile il finanziamento di prestazioni promesse in anni in cui tutto sembrava dover prosperare senza fine. Da qui, se restringiamo il campo al mondo delle pensioni, l’urgenza e la necessità di riforme strutturali che migliorino l’interazione tra il mercato del lavoro e il sistema previdenziale, attraverso l’aumento dei tassi di partecipazione e l’investimento in capitale umano, ossia in capacità e conoscenze necessarie per la crescita della produttività. In un contesto di forte innovazione tecnologica, proprio il tema delle competenze risulterà infatti cruciale per garantire buoni percorsi lavorativi e, quindi, adeguate prestazioni previdenziali. Investimenti nel sistema formativo e, in particolare, in meccanismi di formazione continua saranno più che mai necessari per fornire ai lavoratori le competenze richieste da un mercato del lavoro in continua – e sempre più rapida – evoluzione.

Mercato del lavoro e sistema previdenziale
Con l’introduzione del metodo contributivo di calcolo della prestazione pensionistica, in mancanza di una buona vita lavorativa – in termini di qualità e continuità – è impossibile maturare una buona pensione. Da questa considerazione derivano due conseguenze importanti: l’azione politica deve, da una parte, concentrarsi prioritariamente sulle condizioni che favoriscono l’occupazione del maggior numero possibile di persone e, dall’altra, assistere coloro che, raggiunta l’età di pensionamento, portano in dote un percorso lavorativo sfortunato e pertanto una “ricchezza pensionistica” insufficiente a finanziare una pensione adeguata. La relazione tra sistema pensionistico e mercato del lavoro è pertanto binaria: un buon mercato del lavoro, inclusivo e dinamico, costituisce il miglior presupposto per ottenere poi pensioni adeguate; e un buon sistema pensionistico non deve penalizza il lavoro, rendendo conveniente l’uscita anticipata (pensione di anzianità) ma anzi deve incoraggiare l’occupazione, ovviamente di persone in buona condizione fisica.
Sul fronte del mercato del lavoro, una delle maggiori difficoltà riguarda oggi la precarietà lavorativa e di reddito dei giovani, la quale richiede anzitutto interventi sui processi di formazione scolastici ed extra-scolastici, e misure atte a far funzionare le diverse misure di accompagnamento, di integrazione e di attivazione già previste dal sistema.
Sul versante opposto, le difficoltà occupazionali dei più anziani rischiano invece di vanificare l’effetto dell’aumento dell’età di pensionamento sull’estensione della vita lavorativa. Programmi di formazione specificamente diretti a questa classe di età, allargamento delle opzioni di lavoro a tempo parziale e (perché no?) occasionale ma regolare, prestiti pensionistici e, ancora, contributi figurativi rappresentano una batteria di strumenti perfettamente integrabili nel sistema pensionistico contributivo.

Lavorare di meno per lavorare tutti?
Al di là dei cambiamenti nelle formule pensionistiche – da quelle retributive a quelle contributive – le dinamiche demografiche degli ultimi decenni hanno costretto numerosi Paesi OCSE ad innalzare l’età di pensionamento, con il fine di rendere i rispettivi sistemi di previdenza sostenibili nel tempo. Simili interventi di adeguamento sono spesso stati accompagnati, in Italia come all’estero, da forti preoccupazioni circa il loro possibile impatto sul versante occupazionale, in particolare con uno sguardo rivolto ai giovani. Affinché una prolungata permanenza sul posto di lavoro degli anziani possa però ripercuotersi negativamente sulle opportunità di impiego dei più giovani occorre, da una parte, che i posti di lavoro offerti da un mercato siano considerabili come fissi nel tempo – una sorta di dotazione a somma zero – e che, dall’altra, giovani e anziani possano essere facilmente sostituiti sul loro posto di lavoro.
La logica che ha condotto l’Italia – e molti altri paesi europei – ad abbassare l’età effettiva di pensionamento fino quasi alla metà degli Anni ’90 del secolo scorso, nonostante i ripetuti allarmi sulla sostenibilità dei sistemi previdenziali, è nota in economia come l’errore del numero fisso di posti di lavoro: se gli anziani restano in attività -si sostiene- vi sono meno posti per i giovani. Per conseguenza si considera opportuno, socialmente oltre che individualmente, promuovere il pensionamento anticipato in modo da fare largo ai giovani.
Si tratta però di una logica che non ha fondamento nella teoria economica e che trova scarso riscontro nei dati. L’impostazione del numero fisso di posti di lavoro da suddividere tra i lavoratori va infatti rovesciata per domandarsi quali siano le caratteristiche di un mercato del lavoro inclusivo e dinamico e quali siano le politiche in grado di incentivarlo. Sotto il profilo empirico, l’osservazione dei dati mostra come i Paesi nei quali i tassi di attività degli anziani sono più alti, sono anche quelli con i più alti tassi di occupazione dei giovani e delle donne. Anche se in economia non esistono regole ferree, Gruber, Milligan e Wise scrivono che «non c’è alcuna prova che indurre i lavoratori anziani a uscire dal mercato del lavoro renda disponibili posti di lavoro per i giovani. Semmai, è vero il contrario; pagare perché un lavoratore anziano esca dalla forza lavoro riduce il tasso di occupazione e accresce il tasso di disoccupazione dei giovani e dei lavoratori con pochi anni di anzianità». Ancora più convincente è l’evidenza fornita dalla relazione positiva tra la creazione di nuovi posti di lavoro rispettivamente per i giovani e per gli anziani [Figure 2 e 3]. Se vi fosse un meccanismo di sostituzione all’aumento degli uni corrisponderebbe una riduzione degli altri. Se crescono insieme vuol dire che altri fattori (per esempio un più basso costo oppure una maggiore flessibilità – non precarietà – del lavoro) sono in grado di determinare la crescita di entrambi.

Variation of employement rate, average 2007-17
Variation of unemployement rate, average 2007-17

Naturalmente, ciò che vale in tendenza può non trovare conferma nel breve periodo o in circostanze recessive, quando un aumento dell’età di uscita potrebbe esercitare un effetto negativo sull’occupazione del segmento più debole del mercato del lavoro, oggi rappresentato quasi ovunque – ma in Italia in modo particolarmente accentuato – dai giovani. È questa l’evidenza empirica presentata in un recente studio di T. Boeri, P. Garibaldi ed E. Moen. La ricerca, guardando ai dati Inps sulle dichiarazioni contributive delle imprese con più di 15 dipendenti del settore privato – rimaste attive per tutto il periodo 2008-2014 – suggerisce come la riforma del 2011 abbia comportato un effetto di sostituzione tra l’occupazione dei più anziani e quella dei più giovani, la quale ha conosciuto una riduzione quantificabile in circa 37.000 unità.
Tuttavia, uno studio di Banca d’Italia sui dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat per il periodo 2004-2016, condotto da F. Carta, F. D’Amuri e T.M. Wachter (work in progress, citato nelle Considerazioni Finali del Governatore 2017), di prossima pubblicazione, mostra invece chiari effetti di complementarietà anche nel breve termine: a cavallo della riforma del 2011, nel periodo 2004-2016, la relazione tra la variazione del tasso di occupazione giovanile e la variazione del tasso di occupazione dei più anziani è rimasta infatti positiva; controllando per le condizioni cicliche, all’incremento del numero di lavoratori più anziani (55-69 anni) è quindi corrisposto un incremento, seppur di minor portata, di quelli più giovani (15-34 anni).

Per concludere
Le sfide che attendono le nostre economie nei prossimi decenni si prospettano ampie e complesse: dall’invecchiamento della popolazione a dinamiche di bassa crescita economica, passando per una innovazione tecnologica che andrà a rivoluzionare in maniera profonda il mercato del lavoro. Assicurata, con le riforme, la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, occorre ora indirizzare l’agenda politica verso interventi che agiscano sul fronte occupazionale, per preparare lavoratori e imprese a cogliere le opportunità derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie, e per proteggere coloro che invece ne risultano danneggiati oggi, nel lavoro e nelle retribuzioni, e domani, nella pensione. Mentre apprendistato, formazione continua e politiche attive efficaci sono strumenti che possono alleviare il problema occupazionale, il versamento, a carico della fiscalità generale, dei contributi per periodi di assenza dal lavoro per disoccupazione o lavoro di cura appare in grado di affrontare il problema pensionistico dei giovani meglio di promesse fatte dai politici senza alcun aggancio alla creazione di nuova ricchezza.

Bibliografia
Il lavoro, nella sua prima parte, contiene una sintesi di argomenti più compiutamente sviluppati in:
Elsa Fornero, Chi ha paura delle riforme, Illusioni, luoghi comuni e verità sulle pensioni, Università Bocconi Editore, 2018.
La parte empirica fa invece riferimento a:
J. Gruber and D. Wise, (eds.) Social security programs and retirement around the word. The relationship to youth employment, The University of Chicago Press, 2010
T. Boeri, P. Garibaldi ed E. Moen, A clash of generations? Increase in Retirement Age and Labor Demand for Youth, http://www.reforming.it/doc/931/workinps-papers.pdf